lunedì 8 ottobre 2007

NOI STIAMO DALLA PARTE DELLA GENTE ONESTA.. CHI SI VENDE, NO

Questo che propongo oggi è l'intervento di un Giudice..
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Illustra molto bene la situazione (l'anomalia) italiana..
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La illustra così bene che ciò che descrive vale non solo per i Giudici che si sforzano di fare onestamente e correttamente il loro lavoro, ma per chiunque faccia altrettanto, in ogni campo, senza voler cedere alle "logiche di corruzione" del sistema..
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Leggerlo fa bene a tutti : a chi sta dalla parte degli onesti ma anche a chi è "scivolato" in campo avverso.. perché rifletta e apra gli occhi in tempo.. così da poter risalire la china prima che sia troppo tardi.. ("salvezza" certo possibile, ma a condizione di non aver smarrito del tutto la propria coscienza..)
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Saluti e.. buona lettura
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(Fabrizio Frosini)
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domenica 7 ottobre 2007
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di Uguale per Tutti

Il guaio di quando la crisi di una società non è conseguenza di episodi accidentali, ma di un degrado complessivo della sua cultura e degli strumenti per assicurarle una qualche parvenza di democrazia è che a un certo punto tutto si confonde e sembra difficile riprendere il bandolo della matassa e imboccare una qualche strada che consenta di risalire la china.

Accade, dunque, sempre più spesso, in questi giorni, che dinanzi a eventi assai gravi maggiorenti del potere e dell’informazione si affannino a creare confusione, a cercare di appannare anche quel poco di chiaro che ancora resta nella coscienza della gente, così che anche le persone meglio intenzionate siano assalite da dubbi davvero inverosimili.

Un signore porta in piazza centinaia di migliaia di cittadini per protestare contro alcune cose obiettivamente inaccettabili – per tutte, una categoria di “lavoratori” (i parlamentari) che maturano il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo di “lavoro”, mentre si discute se i metalmeccanici devono aspettare trenta o trentacinque anni, e un popolo cui non si riconosce il diritto di esprimere un voto di preferenza per questo o quel candidato a rappresentarlo, essendo costretto dalla legge a delegare ciò a pochi capipartito – e nessuno riesce a trattare dell’oggetto del contendere, ostinandosi tutti a concentrarsi sulla opportunità o meno che i comici facciano politica, sulla eleganza o no del titolo della manifestazione (con spunti surreali quando Bruno Vespa ha detto che nel nostro Paese prima d’ora “Vaff …” in una piazza non si era mai sentito dire, dimenticando, evidentemente, che lo si sente dire un mese si e uno no nelle sedute del Parlamento, insieme a espressioni decisamente più pesanti, tipo “assassino” all’indirizzo di un ex Procuratore delle Repubblica oggi senatore), eccetera.

Così da un paio di giorni tutti discutono se sia legittimo o no che due magistrati rendano una intervista ciascuno a una trasmissione televisiva.

Questo dibattito si colora di toni terrificanti e sempre più indignati, che andrebbero bene se la domanda fosse se è legittimo o no che dei magistrati si diano allo spaccio della cocaina (dibattito quest’ultimo che, peraltro, nessuno ha neppure avviato quando si è scoperto che un senatore a vita, che continua a fare il senatore a vita, la cocaina se la faceva comprare dalla scorta, concentrandosi anche in quel caso non sul fatto in sé, ma solo ed esclusivamente sulla opportunità o meno che la notizia finisse sui giornali).

L’idea di fondo che viene utilizzata per caricare fino al paradosso l’esecrazione è che ai magistrati si addice il silenzio e che essi devono parlare solo con i loro provvedimenti.

E si tratta di affermazione, invero, del tutto condivisibile in astratto.

Si dimentica, però, che essa fa parte dell’armamentario completo di un paese civile.

In un paese civile le questioni – e anche quelle relative alla giustizia e ai tribunali – di discutono civilmente e, quindi, nessun giudice si sogna di difendersi in pubblico.
Ma per la semplice ragione che nessuno si sogna di insultarlo in pubblico.
Le sentenze si discutono, quando è il caso civilmente si criticano, alcune (non quante da noi) si possono impugnare, ma si rispettano e i giudici pure.
In un paese civile le leggi non le fanno “ad” e “contra” “personam” persone coinvolte negli interessi in gioco e in alcuni casi addirittura già condannate per atti contrari alla difesa di quegli interessi.
In un paese civile si sa (quasi) sempre chi sono le guardie e chi i ladri e le due categorie vengono trattate dai cittadini e, soprattutto, dalle istituzioni in maniera coerente con i loro ruoli.

La pretesa – che da noi è abituale – di applicare solo il lato A della civiltà, omettendo di utilizzare anche il lato B dà luogo al paradosso odierno.

Un paradosso che consiste nel fatto che ogni giornalista o anche solo aspirante tale, ogni portaborse, ogni faccendiere e ogni imputato/condannato può insultare senza limiti (e non solo può farlo in teoria, ma lo fa in pratica quotidianamente) quel paio (“paionon nel senso di “due”, ma dipochi”) di giudici che ancora si ostinano a non prendere atto del corso che sta avendo la storia repubblicana, dicendo di essi peste e corna, continuando da mesi a ipotizzare abusi da parte loro che vengono definiti come terrificanti e che, quando si chiede in cosa consistano, vengono coperti dalla opportunità di mantenere un presunto ma inesistente “segreto istruttorio”.

Un paradosso nel quale un sottosegretario può riconoscere in televisione che uno di questi giudici ostinati ha subito non una ma enne ispezioni tendenti a verificare se si stia o no comportando bene e dirsi convintoin totale assenza di qualunque contraddittorio e sottraendosi all’onere almeno di indicare le ragioni del suo dire - che non si è comportato bene.
Un paradosso nel quale tutti stanno attentissimi a ogni “mossa” anche minima, a ogni “piega del viso” delle guardie e nessuno fa un po’ di luce sul comportamento che contemporaneamente mantengono i ladri.

Un paradosso che assomiglia a un filmone di guerra nel quale l’eroe torna miracolosamente vivo dalla missione suicida e il comandante che ce lo ha mandato vince lo stupore dell’inaspettato e indesiderato ritorno mettendo il malcapitato in punizione perché è vero che ha salvato un’intera città disinnescando un’intera batteria di mine al rischio della propria vita, ma, perdinci, forse (si badi, solo forse) ha un bottone staccato nell’uniforme.

Un paradosso – e questo è l’epilogo – nel quale, quando gli insultati, derisi, vilipesi, ispezionati, isolati, minacciati, sconsigliati, dopo anni in cui vengono tenuti sotto una pressione disumana, dichiarano (con una faccia tosta davvero deplorevole!) “siamo innocenti, abbiamo fatto solo il nostro dovere”, tutti si levano in piedi e, urlando scompostamente, all’unisono dichiarano: “Eh no, i magistrati non possono parlare alla stampa”.

Che dire e che fare?

Vi diamo il nostro modestissimo contributo pubblicando qui sotto i video delle due “interviste” che sono oggetto delle specifiche polemiche di questi ultimi giorni.

Per favore, guardatele e fatevi queste domande:

1. Le cose dette da questi “sovversivi” che, secondo i migliori mètre à penser del Paese minano alle radici la credibilità delle istituzioni, sono così tanto assurde e criminali?

2. E il solo essersi permessi di dirle è così inaccettabile da parte di due persone che lavorano alle dipendenze di un datore di lavoro che non li aiuta per niente e, anzi, li tratta da nemici?
3. E non c’è qualcosa di “malato” nel continuare a pretendere un silenzio sostanzialmente autolesionista da costoro, senza adoperarsi in alcun modo perché a questo silenzio siano incoraggiati da una qualche forma di tregua da parte dei loro aggressori?
4. E si può deplorare la solidarietà che, non richiesta, viene data loro da una folla di cittadini qualunque, senza bandiere e tessere, se continua a rimanere vistosamente assente la solidarietà che dovrebbe venire loro dalle istituzioni in genere e dagli organismi rappresentativi dell’ordine professionale al quale appartengono, che anzi contribuiscono all’isolamento?
5. E secondo quale itinerario logico si afferma disinvoltamente che la solidarietà della gente questi magistrati se la sono cercata, se manca qualsiasi atto o fatto che consenta un’affermazione del genere? E che senso ha dire che a quella solidarietà non si sono sottratti? Cosa dovrebbero fare, scendere in piazza e minacciare la gente, intimandogli di andarsene a casa?

Questi quesiti sono importanti per noi che facciamo il blog non tanto perché riguardano nostri colleghi (dopo tutto, purtroppo, troppo pochi colleghi), ma perché crediamo siano importanti per tutti i cittadini di questo Paese, dato che le risposte da dare a essi definiscono lo stato in cui versa oggi quella che tanti credono sia una democrazia, ma che forse non lo è tanto.

Tutto questo non toglie ovviamente che, se il Consiglio Superiore della Magistratura troverà nelle condotte dei magistrati in questione motivi di censura, certamente li punirà e del tutto legittimamente. Nessuno pensa di creare salvacondotti in favore di questi magistrati e loro non ne chiedono e non ne vogliono: Clementina Forleo ha detto espressamente nella sua intervista non solo di non avere nulla da obiettare contro le ispezioni, ma anzi di volerne anche altre, quando gli interessi in gioco sono quelli di persone qualunque e non solo quando sono coinvolti i potenti.

Ma punire (se, allo stato per mera ipotesi, ne fosse il caso) è cosa del tutto diversa da insultare, isolare, intimidire, cacciare.

E nei paesi che della civiltà applicano sia il lato A che il lato B, finché non ci sono prove di responsabilità a loro carico e anche quando (come tanti colleghi dicono ancora oggi per giustificare la loro "neutralità") "non si sa come stanno le cose", la regola nei confronti dei magistrati è: "lasciarli lavorare". In alcuni paesi di civiltà esagerata, addirittura "aiutarli a lavorare ancora meglio".

Chissà perché non riusciamo a stupirci che da noi la presunzione di innocenza per i potenti valga anche dopo le sentenze definitive di condanna (così che in tanti media importanti, anche "di Stato", condannati eccellenti per fatti anche gravissimi o dichiarati colpevoli di reati prescritti vengono accolti con deferenza e ossequio, ironizzando sulle sentenze di condanna o "vendendo" per assoluzioni le declaratorie di prescrizione) e, invece, per i magistrati "troppo zelanti" la presunzione di innocenza non esista, così che del tutto imprecisate responsabilità di Luigi De Magistris e di Clementina Forleo vengono date per scontate da politici e giornalisti al seguito, che neppure si sforzano di indicare almeno dei fatti nei quali esse si sostanzierebbero.

Qui non è in discussione solo la possibilità di questi magistrati di fare il loro lavoro, ma la possibilità in assoluto che un tale lavoro possa essere fatto in questo Paese .
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(sul punto, illuminante l’intervista del Procuratore Aggiunto di Torino Bruno Tinti, pubblicata nel nostro blog :
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NOI STIAMO DALLA PARTE DELLA GENTE ONESTA.. CHI SI VENDE, NO
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Appello per la Giustizia - Per De Magistris
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