sabato 17 maggio 2008

PASSAPAROLA... Il CSM non cadrà : è già caduto..

passaparola


Caso Forleo. Né si né no: ni!

di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)



dal blog Toghe : http://toghe.blogspot.com/2008/05/caso-forleo-n-si-n-no-ni.html


Oggettivamente e al di là dei fatti e delle intenzioni dei protagonisti, non c’è dubbio che molti percepiscono le sanzioni proposte per Clementina Forleo da parte del C.S.M. (così come quella per Luigi De Magistris) come una ingiustizia.

Alcuni addirittura le interpretano come un atto di “disponibilità” della magistratura verso il potere.

Oggi, sulla mailing list di una corrente della magistratura un avvocato ha scritto che «Forleo e de Magistris in questo contesto sono le vittime sacrificali che anche la Magistratura ha voluto “donare” [al potere] in cambio di tranquillità».

In un bellissimo articolo di questo blog Silvio Leotta ha parlato de “La preoccupante alleanza fra magistratura e politica”.

Con riferimento al “caso Forleo”, ieri si è verificata una cosa bizzarra.

Nella votazione alla Prima Commissione del C.S.M. NON si è astenuta la prof. Letizia Vacca, quella che all’avvio della pratica ne aveva anticipato a reti unificate l’esito con parole decisamente inadeguate al suo ruolo e grandemente disdicevoli (sul punto mi permetto di rinviare al mio articolo “Clementina Forleo e tutti noi avremmo diritto a un ‘giudice’ imparziale”).

E si sono astenuti, invece, i Consiglieri Livio Pepino (di Magistratura Democratica) e Mario Fresa (del Movimento per la Giustizia).

Vi devo confessare che io questa cosa delle “astensioni” dei Consiglieri del C.S.M. non l’ho mai mandata giù.


In molte (troppe) occasioni questo o quel Consigliere del C.S.M. “si astiene”.

Ma badate, non si astiene, come sarebbe normale, perché la pratica interessa un suo parente o un suo compagno di corrente (che, anzi, per i compagni di corrente non ci si astiene proprio), ma si astiene nel senso che “non vota né si né no”.

Il che è davvero bizzarro.


Quello che ho capito io è che quando mi viene affidato un ufficio pubblico e mi danno lo stipendio per questo lavoro, esercitare l’ufficio è un mio dovere e non una “possibilità”.

L’astensione, dunque, è un istituto a tutela dell’ufficio e non del suo titolare.

La legge organizza alcuni organi amministrativi in forma collegiale perché vuole che le decisioni vengano adottate da più persone insieme.


Se uno non vota, si sottrae a una responsabilità e priva – in concreto – la decisione del suo contributo.

In definitiva, a me pare che ci si dovrebbe astenere solo perché si è in una qualche forma di conflitto di interessi o perché, come accaduto per la prof. Vacca, si è persa e fatta perdere credibilità e dignità alla istituzione, dimostrando prevenzione e mancanza di serenità nel giudizio.

Negli altri casi votare dovrebbe essere un dovere e astenersi una sottrazione a un dovere e a una responsabilità.

Tornando al “caso Forleo”, è grandemente imbarazzante che ieri i Consiglieri appartenenti alle due correnti cosiddette (ma ormai abbiamo scritto qui in tutte le lingue che questa distinzione è ridotta a una truffa) “progressiste” (Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia) abbiano “deciso di non decidere” (per il momento) su un caso tanto delicato come quello di Clementina Forleo.

Si doveva trattare di una decisione non politica, ma tecnica. O no?

La rappresentazione che se ne è data è che si agisce contro la Forleo non perchè ha fatto arrabbiare Massimo D’Alema, ma perchè ha creato una situazione oggettivamente insostenibile di incompatibilità “incolpevole” (perchè l’art. 2 si puoi “usare” solo se la cosa è incolpevole).

Dunque, o i presupposti per il trasferimento c'erano o no. Che spazio c’era per l’astensione?

Ovviamente, uno spazio c’era e dell’astensione è stata data una giustificazione. I consiglieri astenuti hanno chiesto un approfondimento istruttorio che gli altri Consiglieri hanno respinto.

Loro, allora, si sono astenuti, sostenendo che riproporranno la loro richiesta di approfondimento istruttorio al plenum del C.S.M..


Ma la questione è che, una volta che i Consiglieri votanti hanno votato per escludere l’approfondimento istruttorio e una volta che è chiaro (perché altamente prevedibile sulla base degli “schieramenti sul caso”) che il plenum respingerà la richiesta di approfondimento istruttorio, la partita era ed è realmente e concretamente quella fra votare a favore o votare contro il trasferimento della collega Forleo.

Fermo restando che al plenum tutti i Consiglieri potranno sempre votare come ritengono più opportuno, se ieri i Consiglieri progressisti avessero votato contro il trasferimento di Clementina Forleo la pratica sarebbe andata al plenum con con la proposta di trasferimento, ma con la proposta di trasferimento bocciata in Commissione.


Sono i paradossi della realpolitik.

A volte i Consiglieri cosiddetti progressisti votano delibere illegittime (è accaduto per la nomina di 23 magistrati del Massimario della Corte di Cassazione, annullata dal T.A.R. Lazio con una sentenza che intendo commentare qui nei prossimi giorni e che intanto può leggersi a questo link) e si giustificano (lo ha fatto, nella vicenda del Massimario, il Consigliere Mario Fresa con un resoconto che si può leggere a questo link) dicendo che votare contro la delibera sarebbe stato solo trovarsi in minoranza e perdere e, dunque, meglio votare “il meno peggio”.

Altre volte gli stessi Consiglieri progressisti si consegnano serenamente alla sconfitta certa, per difendere una richiesta istruttoria che è quasi certo che non otterranno.

Sembra che il primo sia realpolitik e il secondo rigore duro e puro.

Ma in realtà sono entrambi realpolitik.

Nel primo caso le correnti progressiste hanno ottenuto un tot numero di loro “soci” al Massimario (salvo vedersi annullare la delibera per eccesso di potere, sviamento di potere, illogicità della motivazione e travisamento dei fatti).


Nel secondo caso le correnti progressiste hanno ottenuto di poter sostenere di non essere responsabili né della proposta di trasferimento né della proposta di non trasferimento di Clementina Forleo.

Perchè mentre la partita – nei fatti e al di là delle intenzioni – rendeva possibile e “politicamente doveroso” solo il voto pro o contro il trasferimento, loro hanno votato per l’istruttoria.

Un tempo si diceva: la fantasia al potere!



P.S. – Resta la speranza che, se il plenum del C.S.M. non concederà l’approfondimento istruttorio, i Consiglieri progressisti, concedendo a Clementina Forleo il beneficio che spetta anche agli imputati (in dubio pro reo), in mancanza delle ulteriori prove, voteranno per il rigetto del trasferimento.





L'intera memoria difensiva di Clementina Forleo si può leggere in questo blog a questo link.

Appello per la Giustizia - Per De Magistris


L'amara denuncia di Carlo Vulpio, dall'inchiesta «Why Not» all'informazione distratta

Mani sporche che soffocano il Sud

Corruzione, mafie, veleni in procura: casi di ordinario marasma

Mani in alto, questa non è una rapina. O forse sì: immaginate un posto dove i carabinieri indagano sui giudici e i giudici, per farsi dare le carte e sapere che cos'abbiano scoperto i carabinieri, una bella mattina mandano i poliziotti in caserma. Coi mitra puntati, le braccia levate e il colpo in canna (Policoro, giugno 2007). Oppure un paesino dove una brutta mattina la terra trema e tutte le case restano in piedi, tutte meno una scuola che ammazza 27 bambini e una maestra, ma guai a dire che questa scuola è crollata perché l'avevano costruita peggio d'un canile: meglio seppellire la verità sotto macerie di retorica («quei piccoli angeli!...») dare tutta la colpa al terremoto, assolvere progettisti e amministratori, infine incassare soldi pubblici per la ricostruzione che, altrimenti, non arriverebbero (San Giuliano, ottobre 2002).

Dove eravate. Fu la prima domanda senza interrogativo che Roberto Saviano ci fece dalla copertina d'un settimanale, quando la sua scandalosa Gomorra stupì tutti. Che Paese è: sarà la domanda con risposta incorporata che ossessiona chi legge Roba Nostra (Il Saggiatore), 254 indignate pagine di Carlo Vulpio, scandalo al sole di Calabria, Basilicata e dintorni criminali. Dov'eravamo quando succedeva tutto questo e che Sud lasceremo, quando il malaffare sarà ovunque: «Nessuno — scrive Marco Travaglio nell'introduzione —, grazie anche a questo libro, potrà più dire di non aver saputo».

Forse Beppe Grillo la fa troppo semplice con la casta stampata ed è un po' provinciale quel suo scappellarsi di fronte a Cnn e Al Jazeera simboli di libertà: non c'è bisogno d'un Pete Dexter per sapere quant'è pericoloso raccontare certi affari di famiglia, a qualunque latitudine, o per capire che la 'ndrangheta somiglia davvero ad Al Qaeda. C'è casta e casta, però. E nonostante tutto sopravvive anche qui un'informazione di nobilissimi paria, cronisti di provincia pagati cinque euro a pezzo, che scarpina nella «Lucky Lucania» e magari non ha spazio su troppi «giornali distratti e distraenti» (virgolettati di Vulpio) e che è pur sempre roba nostra. Giornalisti che ci mettono la firma e ci rimettono la pelle. Ma comunque. Mezzogiorno corrotto = nazione infetta.

Nella provincia di Reggio Calabria, cuore nero del malaffare, in vent'anni sono stati condannati tre tangentari: tre. Nel silenzioso Molise una cattolicissima coppia, lui deputato e lei ginecologa obiettrice di coscienza che faceva gli aborti illegali, per anni ha regnato seminando paura e raccogliendo un nomignolo: Ceausescu. E poi ci sono i soldi truffati all'Unione Europea, i massoni giudici che informano i massoni inquisiti, i potenti di tutti i partiti che intimidiscono, i treni che impiegano sette ore dal Tirreno all'Adriatico, i carabinieri troppo attivi che vengono promossi e spediti in Iraq, i co.co.pro. che devono versare mezzo stipendio ai politici che li raccomandano... Prendete Potenza, «nera, sconosciuta, rassegnata e ripiegata su se stessa».

Le mani sulla città sono un film in bianco e nero, racconta Vulpio: adesso le mani stanno dappertutto. E i Don Rodrigo del Sud non fanno sconti. Lui, inviato del Corriere della Sera, l'ha provato seguendo da vicino due magistrati come Luigi de Magistris e Clementina Forleo. Che hanno indagato giudici e ministri e pure un presidente del Consiglio, intercettato gente che non dovevano, facendo anche qualche errore e sbattendo su fragorosi proscioglimenti. Osando comunque troppo, pagando sempre di più: l'uno col trasferimento, l'altra con un'incredibile sequela di minacce, di disgrazie, di lutti familiari. Tutt'e due, con l'inevitabile strepitus d'insulti e diffamazioni. Giudici che azzannano giudici: «Malati di protagonismo!». Giornalisti che impallinano giornalisti: «Velinari delle Procure!». Affari loro o roba nostra?

Si sa che molte redazioni sono il bordello del pensiero, diceva Kraus, e talvolta anche bordelli veri, chiosava Biagi, dove non sempre si può scrivere quel che si vuole, ma è già tanto se si riesce a non scrivere quel che non si vuole. Vulpio va oltre. E in questo libro, che sta coi pm senza se e senza ma, che ci va duro ad accusare la grande informazione di connivenza o conformismo, riporta anche una conversazione con Paolo Mieli in piena stagione di veleni e di microspie, dopo che una manina aveva passato ai giornali le telefonate private dell'autore: «La cosa più grave, più terribile che possano fare a uno di noi — gli disse il direttore del Corriere — è questa, intercettarlo e metterlo sotto controllo in questo modo. Dopo di che, possono solo sparargli». Why Not? Nella «democratura» del Sud, dittatura travestita da democrazia o viceversa, dice Vulpio che i segreti è meglio condividerli subito. Scrivere ogni cosa è un'assicurazione sulla vita e mica per niente è de Magistris a rinnovarsi la polizza: «Ma tu che credi, che in questi anni non abbia annotato tutto? Ho un diario mio, personale. Per tutelarmi da chi potrebbe farmi fuori fisicamente e professionalmente. Ma anche perché voglio che non si perda la memoria di tutto quello che è accaduto».

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Francesco Battistini, Il Corriere della Sera, 8 Maggio 2008