sabato 28 giugno 2008

DO UT DES.. Un Paese alla deriva : la Politica dei Corrotti..

Iustitiam quaerimus, rem omni auro cariorem.
Ricerchiamo la giustizia, cosa più preziosa di ogni ricchezza. (Cicerone)



La corruzione è capillare in questo Paese. E dilagante.
Sembra quasi che chi ne accetta la logica non se ne renda neppure conto.
In realtà è tutta una messinscena.
Si è corrotti ma non lo si vuole ammettere.
Neppure con se stessi..
E nessun ambiente ne è esente.
Perché pensare solo ai propri affari, piuttosto che al benessere della collettività, non solo paga, ma è considerato il massimo dei fini..
E vendersi, per chi non ha dignità, non è un problema. Basta non guardarsi allo specchio. O farlo con gli occhi chiusi..
.

Beati monoculi in terra coecorum..


Saluti a tutti
FF



I cortocircuiti interni della magistratura

di Felice Lima

(Giudice del Tribunale di Catania)


da Micromega n. 4/2008


L’appropriazione indebita dei meriti

Cosa fa la magistratura associata con i magistrati integerrimi e coraggiosi quando questi vengono assassinati si sa benissimo: si appropria dei loro meriti, dando luogo all’abuso per il quale quando qualcuno si permette di chiedere conto “alla Magistratura” di qualcosa di cui debba vergognarsi, essa invoca la memoria dei suoi martiri, dicendo che “la Magistratura ha pagato a caro prezzo il suo eroismo”.

Ma non è la verità, perché non è “la Magistratura” ad essere o essere stata “eroica” e men che meno ad aver pagato prezzo alcuno per nulla; a farlo sono stati alcuni singoli magistrati, che prima di essere assassinati erano stati clamorosamente e rumorosamente isolati dai loro colleghi. Per tutti, basti citare qui le vicende del Procuratore di Palermo Gaetano Costa, lasciato solo a firmare dei fermi particolarmente “impegnativi”, e del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che lasciò un diario con le prove del suo isolamento da parte dei vertici degli uffici giudiziari di Palermo. Ma certo è significativa anche la storia del Sostituto Procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto: all’indomani del suo assassinio un collega del suo stesso ufficio è stato arrestato perché a casa gli sono stati trovati un’arma con la matricola abrasa e un mucchio di soldi incartati in un giornale. E il Procuratore Capo, vi chiederete? Promosso Presidente di Sezione in Cassazione! E in Cassazione, come Sostituto Procuratore Generale, è andato anche il Procuratore di Palermo Giammanco, che faceva fare anticamera a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Dunque, si sa benissimo cosa fa “la Magistratura” con i magistrati integerrimi DOPO che sono morti.

Non sempre si riflette su cosa aveva fatto prima dell’omicidio e su cosa fa quando l’omicidio non accade.

La vicenda di Luigi De Magistris è un occasione per riflettere su questo.


La persecuzione disciplinare

Ho già esposto analiticamente proprio qui, su Micromega (nel numero 2/2008), le ragioni per le quali la sentenza disciplinare che ha condannato Luigi De Magistris e che contiene tutti gli addebiti che sono riusciti a immaginare a suo carico non convince per nulla e appare tecnicamente infondata.

Una sentenza, per di più, emessa al termine di un processo dall’esito preannunziato (il Consigliere del C.S.M. Letizia Vacca che annuncia trionfalmente alla stampa che Luigi De Magistris è «un cattivo magistrato» e «va colpito» (!?)) e dalle dinamiche peculiari (sorprendente rapidità del tutto; rifiuto di attendere l’esito delle indagini in corso a Salerno, ben note allo stesso C.S.M. per averne acquisito alcuni atti; il Vicepresidente Mancino che rivela il segreto della camera di consiglio, informando la stampa che la decisione è stata presa all’unanimità).


La richiesta di archiviazione di Salerno

Su tutto questo interviene adesso la Procura di Salerno che chiede l’archiviazione delle accuse a carico di Luigi De Magistris con un provvedimento di poco meno di mille pagine che, analizzando minutamente ogni cosa, non lascia scampo a chi aveva giocato tutto sul frastuono e le invettive.

Da quel provvedimento emerge fra l’altro che:

1) Il contesto ambientale nel quale Luigi de Magistris ha svolto per anni la propria attività di P.M. era oltremodo “difficile”, caratterizzato da pesanti intrecci tra magistrati di punta degli uffici calabresi (ivi compresi gli stessi vertici degli uffici requirenti di Catanzaro) e persone sottoposte ad indagini da parte dello stesso Luigi (ivi compresi altri magistrati, soprattutto lucani).

2) Da quel medesimo contesto è scaturita una vasta, articolata e provata (sì, provata!) attività di aggressione e delegittimazione di De Magistris e del suo operato, attuata con denunce ed esposti diretti non solo alla Procura di Salerno, non solo agli organi disciplinari, ma a chiunque, ivi comprese le più alte cariche dello Stato (è davvero impressionante la lettura, nel primo capitolo della richiesta di archiviazione, della quantità di esposti, denunce, interrogazioni, querele etc. che hanno investito il collega in un arco di tempo relativamente breve).

3) In tale contesto, De Magistris si è trovato nella singolare condizione di non poter fare affidamento – all’infuori della P.G. che lo coadiuvava nelle indagini – praticamente su nessuno, stanti gli acclarati rapporti dei suoi superiori gerarchici con soggetti sottoposti a indagini, “colorati” da episodi forse interpretabili anche come interferenze nelle indagini stesse.

4) Sotto tale profilo, il provvedimento dei P.M. salernitani contiene un passaggio significativo che lascia intendere che la storia non è finita e potrebbero esserci ulteriori sviluppi (solo pochi giorni fa i giornali hanno dato conto dell’iscrizione nel registro degli indagati del dr Dolcino Favi, autore dell’avocazione che un autorevole collega ha definito “impensabile”).

5) Tutto ciò premesso, pur nella condizione di delegittimazione e isolamento in cui ha operato, non è emerso che Luigi De Magistris si sia reso responsabile non solo e non tanto dei reati a lui addebitati, ma neanche di mere “irregolarità” o violazioni di norme processuali o deontologiche: insomma, il giudizio complessivo sul suo comportamento è di estrema correttezza e scrupolosità.

6) Sul punto i P.M. di Salerno hanno approfondito alcune delle vicende per le quali Luigi è stato condannato in sede disciplinare, evidenziando come quel giudizio fosse in realtà fondato non su una valutazione parametrata al rispetto delle regole processuali e ordinamentali, ma piuttosto su una generica (nonché a volte pregiudiziale e apodittica) valutazione negativa proprio del merito della sua attività giurisdizionale, in contrasto con uno dei capisaldi teorici in tema di limiti al sindacato disciplinare sull’attività dei magistrati.

7) Ancora, con riferimento ad alcune vicende particolarmente sbandierate da “media” e commentatori con la litania sui “cattivi magistrati” (mi riferisco alla nota vicenda dei fermi non convalidati o a quella ancor più famosa della perquisizione asseritamente “ipermotivata”, ma gli esempi possono moltiplicarsi), si è sottolineato, talora anche con l’autorevole avallo della Cassazione, come grossolani errori e macroscopiche illegittimità, semmai, si rinvengono negli atti posti in essere da quei magistrati che in alcuni casi hanno sconfessato le ipotesi investigative e gli atti di Luigi (ma di questi nessuno ha detto se sono “buoni” o “cattivi magistrati” …).

8) Anche quanto alle famose “fughe di notizie”, non solo è stata ribadita l’estraneità ad esse di De Magistris (ma ciò era già riconosciuto dallo stesso C.S.M.), ma ne è stato correttamente sottolineato il carattere di oggettivo pregiudizio alle indagini da lui svolte, specie quando intervenivano in momenti “caldi” dell’attività investigativa: con buona pace, anche in questo caso, di chi ha accusato Luigi di “protagonismo”.

9) Sono emersi contatti quanto meno ineleganti tra persone sottoposte a indagini da parte di Luigi e magistrati del C.S.M., ivi compreso forse anche l’estensore della sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso Luigi.

10) Alla luce di tutto ciò, si sarebbe tentati di attribuire un significato sinistro alla fretta con cui il C.S.M. ha voluto aprire e chiudere il giudizio disciplinare a carico di Luigi De Magistris, comprimendone gli spazi di difesa al punto da non voler neanche attendere questi pochi mesi, che oggi avrebbero consentito un giudizio più completo, che tenesse conto delle circostanze sopra indicate (peraltro ben note al C.S.M., essendo state rappresentate sia da Luigi che dai magistrati di Salerno, auditi nel corso del processo disciplinare e le cui dichiarazioni il P.G. D’Ambrosio, di cui dirò più avanti, ha cercato di non fare ammettere agli atti).

Ho tratto questa sintesi del provvedimento di Salerno da una mail del collega Raffaele Greco che si concludeva con un interrogativo: perché – scriveva su una mailing list di magistrati – oggi, mentre è in corso il congresso dell’A.N.M. e mentre si torna a discutere delle criticità del nuovo ordinamento giudiziario, specie con riguardo all’assetto delle Procure, solo pochissimi magistrati (che si contano sulle dita di una mano) si sentono di intervenire in maniera chiara su questa vicenda?

L’interrogativo non ha avuto NESSUNA RISPOSTA.


Il cancro che consuma la magistratura dall’interno

Alla ineludibile domanda sul perché la magistratura associata tutta taccia sul “caso De Magistris”, sopportando l’enorme prezzo che ciò le fa pagare in termini di totale discredito interno (presso i magistrati della “base”) ed esterno (presso l’opinione pubblica), la risposta è che vi è costretta.

L’A.N.M., le sue correnti, i maggiorenti del potere interno alla magistratura non possono parlare, perché troppi legami con gli ambienti – ancora una volta interni ed esterni al “caso” – glielo impediscono.

Si va al Consiglio Superiore della Magistratura mediante elezioni. Il consenso elettorale è gestito da gruppi – detti “correnti” – che rappresentavano molti anni fa aree culturali e ideologiche e si sono ridotti oggi quasi esclusivamente a collettori di voti.

Le correnti legittimano se stesse agli occhi dell’opinione pubblica mantenendo in vita – con un autentico accanimento terapeutico – l’Associazione Nazionale Magistrati, che oggi ormai non è altro che un involucro che serve solo a dare copertura alle correnti, unica realtà esistente.

L’A.N.M. è talmente cannibalizzata dalle correnti che da anni qualunque sia l’esito delle elezioni interne per i suoi organi direttivi, le correnti si spartiscono con un numero uguale di seggi la sua Giunta Esecutiva Centrale.

Con l’alibi dell’“unità associativa”, infatti, per moltissimi anni l’A.N.M. è stata governata da giunte unitarie, nelle quali ciascuna corrente aveva lo stesso numero di componenti indipendentemente dai voti ottenuti dalla base. In sostanza, le elezioni erano “per finta”.

La giunta attualmente in carica costituisce una novità, ma una novità “zoppa”: la Giunta dell’A.N.M., infatti, per la prima volta dopo molti anni non è unitaria, ma è comunque composta alla pari da tre correnti su quattro.

La circostanza che alle ultime elezioni del C.D.C. due delle quattro correnti abbiano subito una flessione di voti del 24% è rimasta sostanzialmente irrilevante e le due correnti in questione compongono ugualmente con lo stesso numero di componenti la Giunta.

Le correnti designano i candidati al C.S.M. e ne ottengono l’elezione.

Accade nella magistratura una cosa assai simile a ciò che accade in Parlamento: gli eletti più che eletti sono “designati”.

La programmazione del consenso, anche con appositi cartelli elettorali fra distretti, e la gestione delle liste elettorali è tale che le correnti offrono al voto un numero di candidati molto vicino a quello che pronosticano di potere fare eleggere e veicolano il consenso nel modo per loro più utile.

Gli eletti al C.S.M. sono poi talmente legati al gruppo che li ha fatti eleggere che:

- ormai nel C.S.M. non ci sono il Consigliere Tizio e il Consigliere Caio, ma, paradossalmente, scimmiottando il Parlamento, i “gruppi consiliari”;

- ormai i resoconti del Consiglio sono scritti con riferimento ai gruppi correntizi e non ai singoli consiglieri: “E’ stata approvata la tal delibera: ha votato a favore MD e contro Unicost”.

Per mantenere e incrementare il consenso della base ciascuna corrente “sponsorizza” i propri soci in tutti i concorsi interni, dai più rilevanti ai meno.

Così che quasi l’intero organigramma della magistratura risulta lottizzato correntiziamente.


Alcuni casi clamorosi

Perché le mie non sembrino accuse gratuite, citerò alcuni clamorosi casi recenti.

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 3526 del 2008, ha annullato la delibera con la quale sono stati coperti 23 posti al Massimario della Corte di Cassazione (ufficio assai importante per molte ragioni), denunciando come essa fosse affetta da eccesso di potere, sviamento di potere, travisamento dei fatti, illogicità della motivazione.

In un intervento che si può leggere anche su internet, il Presidente della commissione del C.S.M., Mario Fresa, ha scritto fra l’altro: «Il monito proveniente dal Capo dello Stato, seguito con convinzione dall’ex Vicepresidente del CSM Rognoni e poi dal neo eletto Vicepresidente Mancino, secondo cui ancora oggi esiste un forte potere delle correnti dell’ANM che condiziona e rallenta le scelte consiliari per piegarle agli interessi localistici e dei gruppi organizzati, va pertanto condiviso in quanto espressione di un disagio dell’opinione pubblica e dello stesso corpus della magistratura».

E proprio con riferimento al concorso per il Massimario, ha aggiunto: «Invero, quando ho iniziato a leggere gli atti del procedimento, ho verificato che i fascicoli di più della metà degli aspiranti non erano ancora stati esaminati (…). Poiché le voci che giungevano negli uffici giudiziari riguardavano scontri su possibili nomi, è parso evidente che le divisioni riguardavano schieramenti precostituiti, a prescindere dall’esame dei profili professionali in forza dei quali quelle scelte dovevano essere effettuate. Il metodo operativo che veniva seguiyo (che non rappresentava una novità, attesa la mia pregressa conoscenza degli “interna corporis”) era quello della spartizione correntizia».

Nel luglio 2007 sono stati coperti nove posti alla Procura Generale della Cassazione e ben sei dei nove erano consiglieri uscenti del C.S.M. (divisi per correnti), la cui vittoria nel concorso è stata ottenuta con un metodo talmente increscioso che uno dei designati – il consigliere Francesco Menditto di MD – ha ritenuto deontologicamente doveroso non accettare quella nomina.

Altro caso particolarmente scandaloso, la designazione – in palese violazione di una legge che lo vietava espressamente – di un consigliere uscente del C.S.M. a Presidente di Sezione della Corte di Appello di Genova.

Il TAR ha annullato anche questa delibera, sottolineando l’evidente violazione di legge. Il C.S.M., sorprendentemente, pur di “non darla vinta” al magistrato danneggiato dalla delibera illegittima, non ha ottemperato alla decisione del TAR impugnandola dinanzi al Consiglio di Stato, che, ovviamente, ha respinto il ricorso con ulteriore perdita di prestigio e credibilità dell’organo di autogoverno, più incline (almeno in questo caso) a difendere interessi correntizi invece che la legge.

Nei giorni scorsi tre componenti uscenti del Comitato scientifico per la formazione dei magistrati sono stati rimpiazzati al termine del loro mandato. Erano uno di MD, uno di MI e uno di Unicost. I loro rimpiazzi sono, guarda caso, uno di MD, uno di MI e uno di Unicost.

Dunque, per quanto appaia paradossale, anche il “Comitato scientifico” è lottizzato.

In un contesto come questo, non stupisce che una delle telefonate intercettate riportate nella richiesta di archiviazione della Procura di Salerno sia quella fra uno dei magistrati inquisiti da De Magistris e un consigliere del C.S.M. al quale ella dà indicazioni e pone condizioni.

Il magistrato in questione – la dr Felicia Genovese – è stata poi, comunque, trasferita dalla Sezione Disciplinare del C.S.M..

Poiché è stata trasferita al Tribunale di Roma, sede ambitissima, alla quale moltissimi magistrati chiedono infruttuosamente di potere andare, un collega giorni fa, su una mailing list di magistrati, osservava sarcasticamente come la via più breve per un posto ambito possa essere anche farcisi trasferire punitivamente dal C.S.M..


Relazioni pericolose

In un contesto come questo, le “relazioni” interne fra capi degli uffici nominati correntiziamente e “grandi elettori” delle varie correnti e i vertici dell’A.N.M. e del C.S.M. sono talmente intrecciate e complesse da esservi troppe persone che possono esigere coperture o almeno neutralità.

E vi è poi il vastissimo capitolo delle “relazioni esterne”.

Il potere politico “interloquisce” con i vertici delle correnti.

Meno di ventiquattro ore dopo la sua nomina il Ministro Mastella ha incontrato i capi di tutte le correnti e ventiquattro ore dopo quell’incontro ha coperto i più importanti uffici apicali del suo ministero guarda caso con magistrati dai consolidati e risalenti legami alle correnti incontrate il giorno prima.

Capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria è divenuto addirittura un magistrato che fino a poco tempo prima era il Segretario generale di Magistratura Democratica.

I radicali hanno denunciato questa cosa, definendola suggestivamente come il progetto della “Pax Mastelliana”.

Quando ho invitato i miei colleghi a discutere di questa cosa, un magistrato che oggi ricopre una delle cariche di vertice dell’A.N.M. mi ha espressamente minacciato di querela, sostenendo che la sua corrente non aveva segnalato nessuno e che il Ministro Mastella i capi dei suoi uffici se li era scelti da sé (pensa le coincidenze).

E’ chiaro che in queste condizioni non si pone un problema di buona o mala fede dei singoli. E’ il sistema che produce inevitabilmente un conflitto di interessi e poi una cancrena.

Se il Ministro della Giustizia mi convoca perché sono il capo di una corrente e se enne capicorrente prima di me “hanno fatto carriera”, come potrò io, fossi anche santo, non pormi il problema di gestire i miei rapporti con il Ministro in un modo che mi renda, se non “gradevole”, almeno “non sgradevole” per lui?

E così dopo la “confusione” fra i ruoli interni si ha anche quella con i ruoli esterni.

Che dà luogo a situazioni paradossali che ritengo si commentino da sé.

Cito le due più recenti e significative.

Il collega Vito D’Ambrosio, che è stato in passato consigliere del C.S.M., si è dato alla politica e per dieci anni – fino al 2005 – è stato Presidente della regione Marche.

Dopo di che è rientrato in servizio nei nostri ruoli.

Cosa ovviamente più che legittima.

Sembrano ovvie, però, esigenze di opportunità che avrebbero suggerito di occuparlo in ruoli “discreti” (un ufficio collegiale, per esempio).

Invece viene assegnato alla Procura Generale della Cassazione e incaricato di sostenere l’accusa contro Luigi De Magistris al C.S.M. e, parallelamente, viene fatto eleggere al Comitato Direttivo Centrale dell’A.N.M.. Così che si trova ad essere il Presidente della sessione del C.D.C. nella quale il Presidente dell’A.N.M. Luerti si dimette – per ragioni ancora mai del tutto chiarite – dalla sua carica per sue relazioni (verosimilmente legittime, per carità) con uno dei principali indagati proprio delle inchieste di De Magistris.

Insomma, un corto circuito di relazioni veramente surreale.

La corrente di “appartenenza” di Vito D’Ambrosio è il Movimento per la Giustizia nato poco più di vent’anni fa per porre rimedio a questo stato di cose, nel quale si è invece perfettamente integrato.

Mentre il collega Massimo Russo fa la seguente “carriera”: pubblico ministero della D.D.A. di Palermo e Presidente della Sezione Palermitana dell’A.N.M.; da lì a vicecapodipartimento nel Ministero Mastella; da lì ad Assessore regionale alla Sanità nel nuovo governo regionale siciliano.

Un altro corto circuito impensabile.

Anche lui del Movimento per la Giustizia.

Il gravissimo deterioramento del contesto di riferimento e la degenerazione del potere hanno reso sempre più deplorevoli le relazioni pericolose fra magistrati e detentori di potere politico ed economico.

Il gravissimo deterioramento delle condizioni dell’amministrazione della giustizia, la sua sempre maggiore inefficienza, la sempre maggiore afflittività delle condizioni di lavoro dei giudici peones rendono ormai insostenibile e inaccettabile un sistema di gestione del potere interno che quelle inefficienze non solo non combatte, ma addirittura produce: se i capi degli uffici giudiziari vengono scelti secondo logiche di spartizione correntizia e non di attitudini e merito, come potrà mai invertirsi la deriva che sta portando al collasso gli uffici giudiziari?

Con alcuni colleghi abbiamo proposto un rimedio minimo all’intreccio di interessi – personali e corporativi – di cui ho detto: la previsione di radicali incompatibilità fra i diversi ruoli del “potere interno”.

A nostro modesto parere, a chi si candida o comunque assume cariche nell’associazione devono essere preclusi per sempre incarichi nel governo – “interno” ed “esterno” – e viceversa.

E chi si candida o comunque assume cariche in questo o in quel fronte del “potere interno” non deve continuare ad avere – come accade oggi – condizioni di favore per “carriere parallele”, che contrappongono magistrati curvi per decenni su quintali di fascicoli polverosi ad altri che passano da una Direzione generale a una commissione di concorso, da un assessorato a un posto di sottogoverno.

Queste proposte sono state respinte rabbiosamente dall’intero establishment correntizio e noi siamo stati accusati di “sfascismo”, “grillismo”, “qualunquismo”.

Nel concreto contesto contemporaneo, poi, credo che si imporrebbe una regola per la quale chi va a fare politica non possa poi tornare nei ruoli della magistratura.

Intanto, tutta l’Italia assiste al paradosso per il quale, mentre Falcone e Borsellino, morti, possono essere “usurpati” della loro storia, ottenendo che non si ricordi più che essi furono isolati e osteggiati dalla “magistratura”, De Magistris, vivo e innocente, costituisce uno scandalo insanabile che disonora la corporazione, rendendo ridicolo qualunque tentativo di recupero di credibilità con il solo ormai stantio espediente della dialettica “ANM/governo”.

Anche sotto questo profilo la situazione complessiva del sistema costituisce una novità non compresa e non prevista dai capicorrente.

In passato casi come quello di De Magistris (perché ce ne sono stati tanti) venivano risolti “spazzando via” il magistrato “scomodo”. Lo si bollava con una sentenza disciplinare adatta alla bisogna, lo si trasferiva e si attendeva che, in breve tempo, venisse dimenticato (Carlo Palermo fu mandato da Trento a Trapani e neppure dopo scampato a una strage terribile venne mai “riabilitato” e se ne andò via dalla magistratura nella disattenzione generale).

Stavolta la cosa non ha funzionato.

I cittadini calabresi avevano sopportato troppo. Gli amici della “magistratura” “disturbati” da De Magistris ne avevano fatte di troppo sfacciate. E così c’è stata una ribellione popolare.

Internet, poi, ha consentito di diffondere documenti e analisi del processo disciplinare che, per la prima volta, è stato criticato apertamente anche da magistrati, che, a prezzo di ostracismi e anatemi, hanno deciso di violare il tabù per il quale “i panni sporchi si lavano in famiglia”, ritenendo che la critica delle dinamiche dell’autogoverno non può oggi fare alla magistratura più danno di quanto gliene fanno i suoi vertici con le loro prassi distorte.

E così inesorabilmente il re è rimasto nudo e non rassegnandosi alla destituzione si aggrappa a soluzioni impossibili, come, da ultimo, dare della “pazza” a Clementina Forleo, scavalcando “a destra” la proposta di Berlusconi sui test psicoattitudinali.

Non so come finirà. Ma mi sento certo che questa classe dirigente della “magistratura” è arrivata al capolinea. Non solo perché, come era chiaro da tempo, rappresenta ormai solo se stessa e celebra congressi deserti e tristi. Ma perché si è svelato l’artificio. E molto difficilmente troverà qualcuno disposto a crederle quando si spaccerà per l’ennesima volta come tutrice dei sacri valori della giurisdizione.

Speriamo che in qualche luogo e in qualche tempo – alla fine di quest’epoca buia di illegalità al potere, di intercettazioni vietate, di indulti e sanatorie, di tolleranza zero con i morti di fame e complicità con i faccendieri di stato – la società civile torni a reclamare spazi di vera indipendenza per i giudici. Non per la “magistratura” come corporazione, ma per i singoli giudici come addetti a una funzione costituzionale.

(Felice Lima ,
27.06.08)

http://toghe.blogspot.com/2008/05/i-cortocircuiti-interni-della.html




diffondi

giovedì 19 giugno 2008

Il Verme


................................ Il Verme



E me ne andrò
Gridando
"Datemi la pace"

E a che pro’
Togliersi la vita
Se nella gabbia dei Morti
Non potrò demolirmi?

-Hai sentito il tuono
lontano?
-Hai visto la scintilla?

Il tuono non ha voce
E in questa valle
La scintilla gli stà
Dietro di secoli

-Hai visto la giovane
prostituta nelle favelas di
Rio?
-Hai visto le sue lunghe trecce
Dipinte?
-Le hai guardato gli occhi?

Mi dissolverei all’istante
Se accarezzassi le sue guance di
bimba
E caverei gli occhi
Al primo dei tori di coccio
Per ridonarle intatta la verginità

(Sussurri)
"Attraverso i fili della Luce il Vento non ha pace
"Attraverso i comignoli di cera anche il fumo non ha pace
"Attraverso gli alberi di stagno anche le civette
"Attraverso il russare sgangherato della gente
La formica non ha pace

E l’Uomo
S’asciuga
Le lacrime
Di carta
E canta

-E canta sulle sponde
-E canta lungo i rivoli
del fiume
e sotto i ponti
-Cos’avrà
da cantare?

Due ubriachi si danno la mano lungo il muro della chiesa
Si danno la mano i due ubriachi e scivolano via
Scivolano via lungo il muro della chiesa
Sono due ubriachi che non cantano
-Scivolano

Gli ubriachi sobri stanno in altri luoghi
Stanno riuniti in bottiglie e bicchieri
E cantano a busto avanti e gambe larghe

Le mie gambe stanno alla
Morgue
Il mio cervello è già stato sezionato
E il mio cuore messo in formalina

-Ma c’è uno nel gruppo che non canta
-E’ disfonico e ha la voce bitonale
-Un cancro l’ha afferrato alla gola
e non lo fa cantare
-L’ha afferrato stretto e non lo fa cantare
-L’ha afferrato stretto e se lo porta via
-Senza cantare

La mia gola sta alla
Morgue
La mia lingua è già stata sezionata
E il canto messo in formalina

(I due ubriachi scivolano sempre)

-Hai visto il dissolversi del sogno?
-Hai mai toccato qualche sogno?
-Hai udito ciò che dice il verme d’albicocca?

No
L’albicocca non ha voce
E il verme la divora in silenzio
Lo scivolante verme d’albicocca
Il verme giallo –bianco –nero –rosso
Il verme pazzo d’albicocca
Il verme già disfonico
Il verme tuono dalle lunghe trecce
Il verme che brulica in silenzio

-Il Verme



Fabrizio Frosini


................................ La Poesia non muore

lunedì 2 giugno 2008

2 Giugno : ombre sulla repubblica..

http://www.empolipertutti.com/sedute-comunali-pubbliche/371/mafia-si-o-mafia-no-ma-gli-empolesi-da-che-parte-stanno

Relativamente alla proposta di cittadinanza onoraria a Pino Masciari..

La cosa importante -indispensabile- quando si voglia veramente combattere la CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, è comprendere i meccanismi di COLLUSIONE (anche psicologici) che trasformano la società (così detta) "civile" nel mare in cui quegli squali umani si muovono (così spesso indisturbati), cibandosi di tutto quanto risulti loro commestibile..

Il fenomeno mafia non riguarda solo le "famiglie/clan", gli affiliati, i "simpatizzanti", i corrotti,.. -fino , purtroppo, alle "vittime".

C'è tutta un'area di collusione che non è solo quella "diretta", di chi partecipa ad uno scambio (collusione: accordo segreto tra due o più persone, a danno di terzi, per conseguire un fine illecito [De Mauro] -anche da una posizione di debolezza, eventualmente, ma non meramente passiva), bensì –come dicevo- anche quella psicologica, delle masse, per la quale il pensiero "debole" è lo strumento principe che consente la CONVIVENZA, prima, e l’accettazione, poi, dei metodi mafiosi. Fino alla CONNIVENZA. Alla tolleranza delle logiche mafiose.

Il pensiero “debole” è quello che ci fa ritenere di poco conto –o socialmente ininfluente, essendo diventato una sorta di abitudine mentale- un atteggiamento utilitaristico che antepone il proprio interesse a principi e valori che vengono relativizzati, in modo da renderli anche moralmente “neutri”.

Quando si compie questo passo, si apre la porta a tutte le mafie –criminalità organizzata e assassina inclusa.

UN GESTO ALTAMENTE SIMBOLICO E UNANIMAMENTE CONDIVISO QUALE IL RICONOSCERE LA CITTADINANZA ONORARIA A PINO MASCIARI, è un passo importante, anche se non sufficiente, per aiutare a rafforzare le difese immunitarie (culturali e di prassi) della nostra Società.

Ma è evidente che si tratta di un passo che non tutti ritengono il caso di fare..

Fabrizio Frosini


Dal Blog di Antonio Di Pietro :

"Fiducia sulla magistratura" di Antonio Di Pietro | 31 Maggio 2008
Tieniti aggiornato: www.antoniodipietro.it

magistratura.jpg

Riporto il testo del mio intervento alla trasmissione Otto e Mezzo di giovedì 29 maggio, dove rispondo alle domande di Lanfranco Pace sul tema della magistratura. (Antonio Di Pietro)

passaparola

Dal Blog di Beppe Grillo : http://www.beppegrillo.it/2008/06/passaparola_lun.html#comments

UNICI COLPEVOLI: I CITTADINI


Per avviare il video, clicca "play"

Riporto di seguito il testo dell'intervento di Marco Travaglio.

"Buongiorno a tutti. Spero si possa ancora dire che l’intervento del Capo dello Stato in occasione della festa del 2 giugno tenuto ieri è stato tutt’altro che soddisfacente. Io per esempio non l’ho condiviso per niente. Non perché i principi che ha enunciato non siano giusti: basta con l’intolleranza, basta con le ribellioni allo Stato. Dipende da che cosa sta dicendo e a chi si sta riferendo. Si riferiva a Bossi? Che ha di nuovo minacciato che se non si faranno le riforme che vuole lui di marciare su Roma con cinquecentomila padani, peraltro tutti da individuare. Non si sa se questa volta armati, disarmati, travestiti da Obelix, o come diavolo si presenterebbero. Si riferiva a Berlusconi, che si è appena ribellato allo Stato, cioè agli arresti disposti dalla magistratura napoletana per lo scempio dei rifiuti, per le discariche truccate, per la monnezza non trattata che veniva nascosta sotto lievi coltri di monnezza trattata e magari anche profumata con la calce viva come dalle intercettazioni dell’enturage di Bertolaso e dalla immarcescibile FIBE-FISIA del gruppo Impregilo che hanno continuato a lucrare soldi nostri senza smaltire un grammo di rifiuti? Si riferiva a ..? Chi sono quelli che si ribellano allo Stato? Sono quelli che vogliono abolire le intercettazioni perché funzionano troppo, come hanno dimostrato anche in questo caso? Berlusconi ha approfittato del ricevimento al Quirinale per primo giugno per annunciare una legge contro le intercettazioni, cioè per disarmare una magistratura che già è stata messa in ginocchio da quindici anni di riforme di destra e sinistra che ormai provocheranno a ben breve il risultato della chiusura di alcuni tribunali e di alcuni uffici giudiziari che dichiareranno fallimento. Chi si ribella allo Stato è per caso chi manda a fare carotaggi e analisi a Chiaiano e poi dà i risultati prima che siano finiti i carotaggi medesimi dicendo che va tutto bene e che quello è il posto giusto per portarci l’immondizia? In una delle poche oasi incontaminate, dove si coltivano frutti di eccellenza, dove a pochi passi ci sono gli ospedali, nel centro della città. Quelli che si ribellano allo Stato chi sono? Sono quelli che dal 1999 calpestano le sentenze della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato, della Corte Europea di Giustizia, le messe in mora e le procedure di infrazione della Commissione Europea sulle frequenze concesse a Rete4 senza concessione, anziché a Europa7, che la concessione ce l’ha? Chi si ribella allo Stato chi è? Quello che stava facendo fallire definitivamente Alitalia dopo aver messo in fuga i francesi di Airfrance che l’avrebbero probabilmente salvata? Chi si ribella allo Stato è per caso il senatore Schifani, presidente del Senato, che oggi regala le costituzioni ai bambini e che ha dato il suo nome, Schifani, a una delle leggi più incostituzionali che si ricordino, il “lodo Schifani”, che garantiva l’impunita alle cinque più alte cariche dello Stato, soprattutto a una, la più bassa, e che fu incenerito dalla Corte Costituzionale nel 2003? Chi si ribella allo Stato sono i politici campani, di cui Napolitano fino a prima di essere eletto presidente della Repubblica faceva parte, perché è li che aveva il suo collegio elettorale, che hanno creato per quindici anni l’emergenza immondizia e che adesso pretenderebbero di farla risolvere dagli stessi che l’hanno creata, compreso Bertolaso, che due anni fa era commissario alla monnezza e che non ha combinato niente, come tutti gli altri e che adesso viene riproposto, come la peperonata che ritorna sempre su, a risolvere un problema che anche lui ha contribuito a creare e ad aggravare? Chi si ribella allo Stato è chi non ha dato la protezione a questo imprenditore che aveva cominciato a parlare e che per questo è stato ammazzato, come tutti quelli che parlano in Campania, come in Calabria, come in Sicilia? Chi si ribella allo Stato è forse chi ha definito in campagna elettorale “eroe” Vittorio Mangano, cioè un malavitoso che non ha parlato? Allora, se in questo Paese gli eroi sono i mafiosi che non hanno parlato, allora questo che è stato ucciso per ha parlato non era un eroe. Dobbiamo decidere...

Ma temo che non intendesse parlare di queste categorie e di questi suoi colleghi il Capo dello Stato in questo suo, per così dire, infelice discorso per la festa della Repubblica. Temo che si riferisse alla gente di Chiaiano che difende la sua oasi, che difende la sua qualità della vita, che difende la possibilità di andare prima a verificare se un sito è o non è idoneo a ricevere rifiuti, e poi dopo utilizzarlo. E non viceversa. Ma è tutto sconvolto, non solo il vocabolario delle nostre istituzioni. È sconvolta la logica, è sconvolto l’ordine pubblico, è sconvolta la Costituzione. Di fatto vengono sospese le garanzie costituzionali, vengono vietate le manifestazioni come simboli di complicità con la monnezza e viene espropriata la magistratura del suo diritto-dovere di perseguire i reati e presto non avremo più nemmeno il controllo delle intercettazioni. Avremo l’esercito che andrà a militarizzare sempre più spesso, come peraltro Beppe Grillo aveva previsto, le situazioni che la politica non riesce più a governare se non con la forza, con i manganelli e con l’uso delle armi.
Stefano e Luigi, nel blog di Beppe Grillo, mi chiedono di spiegare la sentenza del Consiglio di Stato, sul caso Europa7. Che sarebbe il caso di chiamare “caso Rete4”, in realtà. Diciamo lo scandalo delle frequenze negate a Europa7 da nove anni da parte dello Stato, al quale qualcuno si è ribellato, ma non era la gente di Chiaiano e non era nemmeno l’imprenditore di Europa7, Francesco Di Stefano. È l’azienda del nostro presidente del Consiglio, che non ha nemmeno bisogno di ribellarsi perché è da 25, 30 anni, fin dai decreti che Craxi faceva su misura per il Cavaliere, riesce a comandare in materia televisiva sia prima, sia durante, sia dopo la sua permanenza al governo. Le leggi in materia televisiva, da 25 anni a questa parte, le scrive sempre Berlusconi. Solo che prima era costretto a pagare Craxi per sdebitarsi, mentre adesso le fa direttamente lui e quindi non deve più pagare nessuno. Diciamo che risparmia. A me piacerebbe molto poter spiegare questa sentenza del Consiglio di Stato, ma questa sentenza del Consiglio di Stato non c’è. O meglio, c’è, ma i vertici del Consiglio di Stato hanno pensato bene di chiuderla in una cassaforte sabato mattina, poi se ne sono partiti per il weekend lasciando ai giornalisti un comunicato scritto in ostrogoto, forse in sanscrito. Nessuno ha capito cosa voglia dire, quindi dobbiamo andare a tentoni. Diciamo, fidandoci di alcune parole chiave che emergono in questo comunicato. Domani speriamo di avere finalmente la sentenza sotto mano. Qual è il problema? Il problema nasce nel 1999 quando lo Stato italiano decide di riassegnare, secondo dei criteri previsti dalla legge, per gli otto soggetti che hanno titolo a trasmettere su scala nazionale. Si presentano vari pretendenti: si presenta la Rai con le sue tre reti, si presenta Mediaset con le sue tre reti, si presenta l’allora Telemontecarlo, si presentano vari soggetti presenti all’epoca - Telepiù, c’era ancora Telepiù nero – si presenta anche questo nuovo editore, Francesco Di Stefano, con due reti: una è Europa7, l’altra è 7plus. Vince la concessione a trasmettere su scala nazionale con una di queste due reti, Europa7, mentre perde la concessione nazionale Rete4. Perché? Perché fin da cinque anni prima la Corte Costituzionale aveva stabilito che Mediaset, come tutti i soggetti privati, non può possedere più di due reti sull’analogico terrestre, cioè sul nostro telecomando classico che utilizziamo per cambiare canale. Quindi, una delle reti o viene ceduta, o viene trasferita sul satellite liberando le frequenza dell’analogico terreste, che sono limitate e che quindi devono andare a chi ne ha diritto. Nella fattispecie, Europa7 ha vinto la concessione e quindi dovrebbe avere le frequenze. Chi c’è al governo in quel periodo? Massimo D’Alema. Il governo D’Alema fa un bel decreto ministeriale in cui dice Europa7 ha diritto, anzi davanti all’authority che si è occupata di esaminare i requisiti delle varie televisioni che chiedono di poter trasmettere, Europa7 ha addirittura vinto su tutte le altre per la qualità dei programmi del suo progetto di palinsesto che ha presentato. In questo decreto c’è scritto che quindi Europa7 ha diritto di trasmettere, ma si dimenticano di precisare su quali frequenze esattamente, perché? Perché le uniche frequenze libere sono quelle che sono ancora occupate da Rete4 e da Telepiù Nero. Rete4 di Berlusconi, Telepiù Nero degli amici di Berlusconi, i quali naturalmente non hanno alcuna intenzione di liberarle se il governo non glielo imporrà. E il governo non glielo impone, anzi, consente a Mediaset di continuare a trasmettere su quelle frequenze anche senza concessione per Rete4, in attesa di nuovi sviluppi. Per cui Rete4, formalmente abusiva, cioè senza più concessione, ottiene una proroga che non si sa quando finirà. A questo punto interviene la Corte Costituzionale per la seconda volta. La prima volta nel ’94: principio antitrust, due reti per ogni soggetto privato, la terza, via. Dato che nessuno ha fatto niente in quei sette anni, nel 2001 la Corte Costituzionale torna a ribadire: “guardate che Mediaset deve scendere da tre reti a due. È incostituzionale non agire. È incostituzionale ogni legge che le consente di trasmettere su tre reti. Panico, ovviamente, in Mediaset, ma chi c’è al governo? C’è Berlusconi. Con l’apposito ministro Gasparri. Prima versione, viene bocciata da Ciampi perché incostituzionale. Dicembre 2003. A questo punto a Natale del 2003, Berlusconi in persona firma un decreto legge che si chiama “salva Rete4”. Cioè decide che Rete4 può continuare a trasmettere. Nel frattempo entra in vigore la Gasparri 2, questa Ciampi la firma. Nell’aprile del 2004, la Gasparri 2 stabilisce che, fino al momento in cui entrerà in vigore il digitale terrestre, Rete4 potrà trasmettere, perché tanto il digitale terrestre è dietro l’angolo. Gasparri lo prevede nel 2006. Digitale terrestre moltiplicherà il numero delle rete a centinaia e centinaia, tutti avranno centinaia di televisioni tra le quali scegliere, per cui che saranno mai quelle piccole tre reti di Mediaset? Rete4 quindi può rimanere. Naturalmente è tutta una balla. Il digitale terrestre non esiste nemmeno oggi. Siamo nel 2008. Non esisterà nemmeno del 2010. Non esisterà nemmeno nel 2012. Forse, si dice, arriverà nel 2015, ma molto probabilmente arriverà prima la televisione su Internet che lo supererà e lo renderà già vecchio. In ogni caso era una balla, era una truffa, che è servita a procrastinare sine die questa fase transitoria che non finisce mai, perché è in vista di un digitale terrestre che non arriva mai. E intanto Di Stefano continua a rimanere al palo con la sua televisione, per la quale ha investito una marea di soldi per creare un centro di produzione di 22.000 metri sulla Tiburtina, otto studi di registrazione, gli uffici, le tecnologie, la library con tremila ore di programmi. Tutto ciò era necessario appunto per ottenere la concessione. E tutto questo è una ferrari che arrugginisce nel garage. Perché? Perché non gli danno le frequenze. Non gliele da il centrosinistra. Non gliele da Berlusconi nei cinque anni di governo. Lui si rivolge, come fa un cittadino modello, ai tribunali. Il TAR, che gli da parzialmente torto. Ricorre al Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato, per far passare un po’ di tempo, o forse perché non ha chiaro qual è il problema, manda tutto alla Corte di Giustizia Europea chiedendo se le normative italiane che consentono questa situazione e che sono state create nel corso degli anni da destra e sinistra, sono o non sono compatibili con le norme europee. Anche la Corte di Giustizia Europea non è che impieghi poco tempo per studiare il caso, anche perché è un caso unico al mondo, e alla fine il 31 gennaio di quest’anno, il 2008, emette la sua sentenza: le norme italiane che consentono a Rete4 di trasmettere al posto di Europa7 in questa infinita fase transitoria sono contrarie al diritto comunitario, quindi sono illegali, quindi lo Stato italiano le deve disapplicare. È come se non esistessero. Perché? Perché il diritto comunitario vale più delle normative nazionali. Quindi il governo potrebbe sbaraccare la legislazione attuale, imporre a Rete4 di sparire dall’analogico terrestre, levarle comunque le frequenze – che non sono di Rete4, sono nostre, sono un bene pubblico, che viene dato in concessione a un privato se rispetta delle regole, ora che si dice che non rispetta quelle regole, perché quelle europee valgono più di quelle italiane, toglie le frequenze e le dai al legittimo, non proprietario, ma colui che legittimamente le può utilizzare in base alla concessione vinta nel ’99. Invece il governo Prodi ormai è semi defunto, è appena caduto, è in fase – diciamo – di disbrigo degli affari correnti in attesa delle elezioni. Non se la sente di fare ciò che nemmeno prima, quando era nel pieno delle sue funzioni Gentiloni aveva mai fatto, e cioè dare le frequenze a chi ne a diritto, e quindi viene varato un decreto per ottemperare a varie prescrizioni che ci fa l’Europa, tranne questa della Corte Europea di Giustizia. Nel frattempo la Commissione Europea, cioè il governo d’Europa, il governo Barroso tramite il commissario Kroes, ha aperto una procedura di infrazione sulla Gasparri a proposito di un altro “buco” della Gasparri, e cioè il fatto che la Gasparri garantisce l’accesso a questo mitologico digitale terrestre solo ai soggetti che sono già presenti sull’analogico, e cioè Mediaset e Rai. Invece di aprire il mercato, come ci era sempre stato raccontato, proprio la legge Gasparri, fa entrare nel digitale terrestre solo quelli che sono già presenti nell’analogico terrestre, il che significa non solo che oggi abbiamo il duopolio Rai-Mediaset, ma che ce lo avremo per sempre. Per l’eternità, perché nessuno di quelli esclusi oggi dall’analogico terrestre potrà entrare nel digitale terrestre. E per questo ci ha messo in mora nel 2006 avvertendoci che se entro un paio di anni non avessimo sbaraccato la Gasparri, sarebbe partita una multa retroattiva proprio dal 2006 fino addirittura ad arrivare a 3-400.000 euro al giorno, che se li spalmiamo su tre anni diventano addirittura 300 milioni di euro che ci potrebbero capitare se entro qualche mese la Gasparri non fosse risolta. A questo punto arriva il governo Berlusconi. Torna Berlusconi per la terza volta. Tenta immediatamente di fare un colpo di mano, cioè di rispondere all’Europa dicendo “chi ha avuto, ha avuto. Chi ha dato ha dato. Scurdammoce ‘o passato” e scurdammoce soprattutto le sentenze della Corte Costituzionale, le sentenze della Corte Europea, la messa in mora della Commissione Europea, la procedura di infrazione. Lo status quo rimane così, finché non ci sarà il digitale terrestre. Cioè in un futuro che forse arriverà tra sei, sette anni. Vogliono stabilire e cristallizzare una situazione illegale, per evitare di dare a Europa7 ciò che anche la Corte Europea ha stabilito sia suo diritto avere. Ultima puntata, sabato, il comunicato che annuncia la sentenza. Sentenza che dovrebbe chiudere questo contenzioso che è basato su ben sette cause che Europa7 ha fatto allo Stato italiano. Dice, in sintesi, il comunicato che: “il ricorso che aveva fatto Mediaset, - qui si parla di RTI, perché è la società che si chiama così – viene respinto, e spetterà all’amministrazione, cioè al governo, cioè al sottosegretario ad personam, o ad aziendam, Paolo Romani, applicare la sentenza della Corte Europea di Giustizia e rideterminare le frequenze in base alle richieste di Europa7”. Che cosa voglia dire tutto questo, non lo sappiamo. Non sappiamo se il Consiglio di Stato dice al governo: “dai le frequenze a Europa7 e toglile a Rete4”. Oppure: “decidi tu come vuoi”. Oppure: “facci sapere cosa vuoi fare, dopodiché noi stabiliremo quale sarà il risarcimento che dovremo dare a Europa7, senza che però nessuno le dia le frequenze”. Sono formule ambigue che però speriamo finiscano domani, quando arriverà finalmente il testo completo della fatidica sentenza. Quello che si può arguire fino a questo momento è che il Consiglio di Stato affida al governo Berlusconi di risolvere un problema che è stato creato dai governi Berlusconi per favorire l’azienda di Berlusconi; oltreché dalla cosiddetta opposizione di Berlusconi che ha remato dalla sua parte, come sempre è avvenuto in materia televisiva. Vedremo che cosa dirà la sentenza. Certo che affidare a Berlusconi la risoluzione del problema Rete4/Europa7 ricorda tanto l’affidare a Berlusconi e a Bertolaso la risoluzione del problema della monnezza, d’accordo con Bassolino. Cioè d’accordo con l’altro, che con Berlusconi e Bertolaso ha collaborato a crearlo. È come se, di fronte a un delitto, si affidasse il compito di risolvere il caso all’assassino." (Marco Travaglio)


venerdì 30 maggio 2008

Frammenti, XC


Frammenti, XC

"Odi profanum vulgus et arceo / Favete linguis" , Orazio, Odi, XII (III)
"Volgus profanus odi et arceo" , Petronio Arbitro, Satyricon


Su ali d’insetto
Si posa il mio grido
–Indifeso

L’elicotrema risuona
Di vuoto)


Fabrizio Frosini


lunedì 26 maggio 2008

Campania. J'accuse.

PROVE DI REGIME..

quello che non avremmo mai voluto vedere..

FF



Datemi voce e spazio. Perché si sappia quello che è accaduto.

dal blog di Beppe Grillo :
http://www.beppegrillo.it/2008/05/campania_jaccus.html#comments


Campania. J'accuse.

Chiaiano_5.jpg


Signor Presidente della Repubblica Italiana,
permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno avete fatto, di inviarmi la vostra approvazione per mia la raccolta di testimonianze sul precariato, di dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sulla Repubblica che rappresentate, soltanto quell'abominevole affare della Campania!
Per ordine di un Consiglio dei ministri, la gestione criminale dello smaltimento dei rifiuti in Campania degli ultimi venti anni è stata trasformata in un problema di ordine pubblico, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, l’Italia ha sulla guancia questa macchia, la Storia scriverà che sotto la Vostra presidenza non è stato punito questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, la chiederò io, poiché ho promesso di dirla e di cercarla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito delle persone innocenti che espiano colpe non loro. Ed è a Voi signor Presidente, che io griderò questa verità.
Per prima cosa, la verità sulle discariche dei rifiuti industriali delle aziende del nord Italia sepolte in discariche abusive dalla Camorra. La verità sull’aumento dei tumori nel triangolo della morte di Nola, Acerra e Marigliano. La verità sulle sostanze radioattive, sui rifiuti cancerogeni scaricati alla luce del sole, in modo incessante, con i camion, dove le autorità non potevano non sapere. Emma Marcegaglia stanzi un fondo della Confindustria per la bonifica a carico delle aziende che hanno inquinato la Campania, se così non fosse, sia lo Stato a ricercare i responsabili, a liquidare le loro aziende e destinare i proventi a un Commissariato sotto la Sua autorità.
Per seconda cosa, la verità sulle connivenze tra la Camorra e le istituzioni in Campania, sulla gestione dei politici che hanno devastato la Sua regione in questi anni, sulle assunzioni clientelari, sulle coperture di partito bipartisan, sulla mancata destituzione del Presidente della Regione Antonio Bassolino, sotto processo per il ruolo di commissario per l’emergenza rifiuti insieme a Pier Giorgio Romiti, ex amministratore delegato della Impregilo e ad altri nomi eccellenti. La verità sulla mancata destituzione di Rosa Russo Jervolino, sindaco di Napoli, alla quale si può imputare, senza ombra di dubbio, una totale incapacità come amministratrice per l’emergenza rifiuti. La verità sulla mancata ricerca dei responsabili delle decine di società di smaltimento dei rifiuti, così vicini ai politici e per questo inamovibili. La verità sulla loro mancata sostituzione di fronte all’evidenza del disastro annunciato.
Per terza cosa, la verità sui fondi europei, sui miliardi di euro destinati alla Campania in questi molti anni. La verità sul loro ammontare, sulla loro destinazione, sul loro utilizzo, su chi li ha gestiti, sui depuratori non funzionanti e, forse, neppure avviati, sulle bonifiche dei siti inquinati mai portate a termine, sulle strutture inesistenti per la raccolta differenziata, sugli impianti per il riciclo di carta, vetro, plastica che dovrebbero esserci, ma non ci sono.
Solo dopo l’accertamento di queste verità, si potrà procedere a porre sotto segreto di Stato le discariche, a militarizzare la Campania, a inviare la Polizia contro i cittadini, anche a manganellarli, se necessario. Solo dopo l’accertamento di queste verità si potrà pretendere dai campani un comportamento rigoroso, ispirato alla correttezza civile senza alcuno sconto verso le Istituzioni e verso la propria coscienza. Solo dopo l’accertamento di queste verità, caro Presidente, solo dopo la cacciata dei primi responsabili politici dello sfascio, si potranno chiedere sacrifici ai cittadini, prima si devono porgere loro le scuse dello Stato che non ha saputo proteggerli e che oggi li criminalizza.
Quanto alla gente che accuso, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l'atto che io compio non è che un mezzo per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima.
Vogliate gradire, signor Presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto.”

(Beppe Grillo)

Lettera liberamente ispirata a "J'accuse" di Emile Zola.


Chiaiano/Italia 2

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Una lettera da Chiaiano.

"Datemi voce e spazio perché sui giornali di domani non si leggerà quello che è accaduto. Si leggerà che i manifestanti di Chiaiano sono entrati in contatto con la polizia. Ma io ero lì. E la storia è un'altra. Alle 20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo uomini, ma donne di ogni età e persone anziane. Cittadini tenaci ma civili - davanti agli occhi vedo ancora le loro mani alzate - che, nel tratto estremo di via Santa Maria a Cubito, presidiavano un incrocio.
Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. La scena sembrava surreale: a guardarli dall'alto, i poliziotti sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano tentativo di recuperali, c'era chi abbassava le mani e veniva trascinato a terra per i polsi.
La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate. Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria gli occhi indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani uomini mentre tante donne erano sull'asfalto, livide di paura e rannicchiate. La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva - invece - contro i giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria, impegnati nel fotografare.
Chiusa ogni via di accesso, alle 21, le camionette erano già almeno venti. Ma la gente di Chiaiano non se ne era andata. Alle 21.30, oltre 1000 persone erano ancora in strada. La storia è questa. Datemi voce e spazio. Perché si sappia quello che è accaduto. Lo stato di polizia e l'atmosfera violenta di questa sera somigliano troppo a quelli dei regimi totalitaristi. Proprio quelli di cui racconto, con orrore, ai miei studenti durante le lezioni di storia".

Elisa Di Guida, docente di Storia e Filosofia - Napoli


domenica 25 maggio 2008

Fucecchio : democrazia zoppa..




Domenica 25 Maggio: raccolta firme a Fucecchio, per i referendum del V2-Day


Ciao ragazzi, è stato un piacere conoscervi; forse sarebbe stato meglio farlo in altre situazioni, perché a Fucecchio è stato veramente deludente. Le istituzioni ci hanno segregato ai margini della rotatoria centrale di Fucecchio dove la gente è solo di passaggio , per lo più con l'auto. In paese c'era posto. Piazza Montanelli, dove c'erano quattro bancarelle, era vuota: altro che banchetto ci sarebbe stato. Ma potevamo essere stati collocati anche in fondo a via Donateschi.. o anche altrove , purché visibili. Inserisco le foto fatte su PHOTOS/varie (Meetup Empoli). Alla prossima. Ciao.
Ennio (Meetup Empoli)




Hai ragione, Ennio.

Ci hanno volutamente MARGINALIZZATO, in modo da limitare al massimo la nostra visibilità!

Scriverò al sindaco e ai capogruppo delle forze politiche presenti in consiglio comunale, denunciando il comportamento antidemocratico tenuto dal comune di Fucecchio .

N.B.: già avevano tentato di impedirci di raccogliere le firme, sostenendo che il tavolo poteva essere autorizzato solo se ci fossimo limitati a dare ai cittadini l'indicazione di firmare in comune!

Il testo della lettera lo inserirò sul blog di Grillo e lo invierò per conoscenza ai giornali (anche se dubito che riportino la notizia).

Qui, ora, assumiamo comunque un impegno: il prossimo anno dobbiamo presentare la Lista Civica anche a Fucecchio!

Fabrizio Frosini



Egregio Sig. Sindaco,


E p.c.:


Sig. Presidente del Consiglio Comunale,

Sig.ri Capogruppo, Forze politiche rappresentate in Consiglio Comunale,


Comune di Fucecchio


La presente per portare a Vs conoscenza un fatto che ci auguriamo vivamente non accada più, per il rispetto che si deve a tutti i cittadini in virtù di quei principi e valori democratici che devono caratterizzare tutte le articolazioni della società di un Paese civile, ed in particolare le così dette” istituzioni repubblicane”.

Attraverso un iscritto a questo Meetup (che conta attualmente circa 160 iscritti, in gran parte residenti nei comuni di quest’area), avevamo chiesto il permesso di tenere, in data 25 Maggio, un tavolo per la raccolta firme a supporto della proposta dei 3 referendum per una LIBERA INFORMAZIONE IN LIBERO STATO (: 1. Abrogazione Legge Gasparri ; 2. Abolizione Finanziamenti pubblici all’editoria ; 3. Abolizione Ordine dei giornalisti).

Con nostra domanda del 16 Maggio chiedevamo pertanto l’utilizzo di 4 mq di suolo pubblico in Corso Matteotti (o comunque un’area del centro interessata dall’evento pubblico denominato ”infiorata”, manifestazione di richiamo per tante persone).

Con stupore ci siamo visti invece “concedere” uno spazio nella deserta P.zza XX Settembre, con la giustificazione dell’assenza di spazi in centro, ma in realtà con il chiaro fine di emarginarci e tenerci lontani dalla zona di massimo afflusso, in quanto le foto da noi scattate il 25 mattina dimostrano che di spazi in centro ve ne erano ben più che a sufficienza ).

La nostra interpretazione sulla “strumentalità” di tale scelta è del resto rafforzata da quanto accaduto precedentemente alla formalizzazione della domanda, essendoci stato fatto presente che avremmo potuto tenere un tavolino NON per raccogliere le firme, ma solo per informare i cittadini che avrebbero potuto firmare presso il Comune (!?) : comportamento che nulla ha a che spartire con quei principi e valori democratici cui ci siamo sopra riferiti.

Alla luce di tale situazione e nella considerazione che rendere più viva e cogente l’implementazione di una sempre maggiore democrazia nel “sistema” sia un dovere civico primario, ci siamo convinti che la presenza di nostre Liste Civiche alle amministrative del prossimo anno sia non solo utile ma doverosa. Opereremo pertanto per concretizzare tale proposito anche a Fucecchio.

Con molti cordiali saluti

Fabrizio Frosini

(Meetup Amici Beppe Grillo Empoli)

venerdì 23 maggio 2008

A 16 anni dalla morte di Falcone..



23 maggio 1992, autostrada A29 Palermo-Trapani, svincolo di Capaci. Cinque quintali di tritolo esplodono per ordine di Totò Riina, per mano di Giovanni Brusca. Si spegne per sempre, senza possibilità di appello, la vita di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e della scorta.

Giovanni Falcone ha sacrificato la sua vita per lo Stato; era un’anomalia palermitana, era uno spietato persecutore del crimine organizzato, sentiva il bisogno di lottare contro la mafia, sentiva la necessità impellente di sacrificarsi alla causa.

Giovanni Falcone aveva un senso del dovere smisurato, credeva nella possibilità di liberare quella sua disgraziata terra dal cancro della mafia, credeva nella possibilità di costruire una società giusta, una società in cui lo stato sarebbe stato in grado di proteggere i propri cittadini e la credibilità delle proprie istituzioni.

Diceva: “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere”.

Era un uomo d’onore, riusciva ad attirare a sé le persone, le calamitava. Giovanni Falcone ha avuto il coraggio di portare avanti una lotta pericolosa, sapendo perfettamente che la sua esistenza sarebbe rimasta segnata per sempre.

Giovanni Falcone è morto ammazzato dalla mafia, abbandonato dallo stato, ossia da chi avrebbe dovuto proteggerlo...

Andrea Sferrella , giovedì 22 maggio 2008 , 21:18



Per ricordare Giovanni Falcone nel 16° anniversario della strage di Capaci : lettera aperta della Redazione del Circolo Culturale della Strada Persa, tratta dal sito web di Salvatore Borsellino : http://www.19luglio1992.com/

Una guerra solitaria


Scritto da : Circolo Culturale Strada Persa
giovedì 22 maggio 2008 13:20


Una guerra solitaria

Caro Giovanni,
una lettera aperta è forse una cosa sciocca in questo caso, ma è un modo come un altro per renderti omaggio nella ricorrenza della tua terribile e prematura fine, avvenuta proprio oggi, sedici anni fa. Sentivamo il bisogno di scriverti questa lettera perché, come molte persone che non ti hanno mai dimenticato, sappiamo di dover tramandare quest’oggi la tua eredità ed il tuo pensiero, e fare in modo che, per quanto possibile, la nobile lotta per la quale hai offerto la tua stessa vita non risulti vana.

“…la mafia è un fenomeno umano, e come ogni fenomeno umano ha un inizio e una fine: questo mi dà il conforto di sapere che prima o poi riusciremo necessariamente a sconfiggerla…”

“…la mafia è un’organizzazione criminale unitaria e verticistica, rigidamente gerarchizzata, che conta appoggi nella criminalità organizzata, nonché nell’imprenditoria, nella società civile e nelle istituzioni…”

Studiare i tuoi scritti e ripercorrere le vicende della tua professione è stato per noi un momento di crescita fondamentale, e per certi versi illuminante. Leggendo le tue parole abbiamo capito che decenni di onesto e coraggioso lavoro di magistrato antimafia ti avevano donato una conoscenza di Cosa Nostra assolutamente profonda e rara. Le tue idee superavano molti dei luoghi comuni che circondano questo cancro della nostra società, quasi a volerlo rendere benigno, e quindi meno intollerabile: tu avevi scoperto ed avevi capito cose talmente sconvolgenti che avrebbero fatto vacillare e forse crollare la democrazia italiana, sotto il peso dei suoi segreti impronunciabili. Avevi capito, ed oggi lo realizziamo anche noi, che ci sono cose che non si possono dire. Sono delle zone grigie, dei misteri insondabili che adombrano questo Belpaese, dei quali è meglio non parlare perché a farlo si rischia di finire al manicomio, se non al cimitero.

Ed una di queste zone grigie è proprio quella che circonda l’eterna lotta tra lo Stato e la mafia, la guerra suprema per il prevalere della legalità sulla criminalità organizzata. Così viene chiamata, e così uno se la immagina: come una guerra, in cui due potenze si scontrano e alla fine soltanto una prevale. Ma in verità, se ci si ferma a riflettere sui fatti storici che hanno segnato, negli ultimi trent'anni, la storia di questo interminabile conflitto, si scoprono degli episodi che a tutto fanno pensare fuorché ad uno Stato realmente interessato a debellare Cosa Nostra. Troppi fatti inquietanti hanno segnato questa ambigua lotta.

Basta ricordare la Procura di Palermo degli anni ‘80, il “palazzo dei veleni”, nel quale tu operasti per anni, dove un misterioso Corvo recapitava ai colleghi lettere minatorie anonime, aggirandosi nei meandri del pool antimafia per capirne le strategie e spifferarle ai suoi referenti di Cosa Nostra.
Basta ricordarsi del maxi-processo svoltosi a Palermo nel 1985, da te fortemente voluto ed istruito con uno sforzo sovrumano, e ricordare il modo in cui il suo potenziale contraccolpo sul sistema politico venne disinnescato impedendoti di succedere a Caponnetto alla direzione del pool antimafia, e designando invece “dall’alto” a tale ruolo Antonino Meli. Un uomo onesto, senza dubbio, che però fece regredire il lavoro del pool di decenni, rinunciando ad ogni velleità di alzare il tiro delle indagini a livello istituzionale.

Vedi, ormai andiamo convincendoci che i magistrati non sono tutti uguali: ci sono magistrati giusti e magistrati sbagliati, e tu e il tuo amico Paolo Borsellino eravate magistrati sbagliati, scomodi, perché non vi stava bene che le indagini si fermassero ogni volta al boss siciliano di turno, senza percorrere le innumerevoli piste mafiose che portavano alla Palermo bene, agli studi di liberi professionisti, ai nomi di rispettabili imprenditori, o a Montecitorio.

Concepivate la giustizia come un concetto perfetto ed assoluto: se la si vuole, la si deve cercare sino in fondo, senza fermarsi davanti alla lussuosa porta dello studio di un onorevole. Un pensiero così, non è difficile capirlo, era una mina vagante per quello stesso sistema legale che voi due rappresentavate. Tu e Paolo eravate due maestri dell’antimafia: conoscevate il vostro nemico così bene che eravate perfino arrivati a scoprire tutti i suoi stretti intrecci con la massoneria, lo Stato ed i servizi segreti.

Per questo vi fecero fuori: va bene tutto, va bene la giustizia, però a un certo punto alt, certi coperchi non li si può sollevare. La ragion di stato viene sempre e comunque prima della giustizia.

Per questo è sempre meglio che anche in magistratura, nei posti che contano, ci siano le persone giuste, gente inoffensiva: come li ha definiti Marco Travaglio nel suo libro Intoccabili, “gli specialisti delle carte a posto”. In quella Procura spaccata e sordida di veleni è ormai chiaro che qualcuno combatteva per la legalità pura e per lo Stato di diritto, mentre qualcun altro rispondeva ad ordini politici superiori, mimetizzandosi nella suddetta zona grigia.

Diventano quindi chiare e logiche le infami campagne di delegittimazione con cui ti colpirono quando pretendesti di approfondire i legami occulti mafia-politica interrogando a 360° il super pentito Tommaso Buscetta, il quale lasciò intendere che di legami Stato e mafia ne avevano sempre avuti, e forti, anche; salvo poi riservarsi di non fare nomi, poiché sapeva che ciò avrebbe comportato la tua condanna a morte. Ma di chi temeva la reazione Buscetta, se voleva difenderti dalla politica italiana? Chi tra i politici aveva interesse a che l’operato del pool fosse mantenuto low profile, per non scomodare interessi di Stato? Che cosa sapeva, Buscetta, di così sconvolgente da non poter essere detto? “Dottor Falcone, ci sono delle cose che io so ma non posso dirle, perché se gliele dicessi finiremmo entrambi al manicomio”, ti disse una volta Buscetta.

Eccole ritornare, le cose che non si possono dire: e chi si ostinava a dirle nonostante tutto allora era proprio un rompicoglioni, anzi una minaccia da eliminare ad ogni costo, prima che scoperchiasse verità sconvolgenti. Ecco perché decretarne l’isolamento, il ripudio, la diffamazione, la delegittimazione, che in un contesto come quello in cui tu e Paolo operavate equivaleva ad una condanna a morte. Un isolamento decretato proprio dallo stesso establishment politico-informativo che, subito dopo le stragi, si affrettò a riabilitarvi pubblicamente distribuendo tardive medaglie al valorcivile, grondanti retorica ed ipocrisia, poiché provenienti da quello stesso Stato che fino a un mese prima vi aveva osteggiati e denigrati in ogni modo. Un modo come un altro per dimostrare che in realtà le istituzioni apprezzavano Falcone e Borsellino, e ne rimpiangevano l’orrenda fine: ma appuntare sui vostri petti dilaniati la medaglia al valor civile è stato solo l’ultimo affronto, forse il più vergognoso, perché perpetrato al solo fine di salvare la faccia allo Stato, quando voi non eravate più in grado di ribellarvi.

A ricordare tutto questo, e le altre decine di morti forse meno celebri come Rocco Chinnici e tanti altri, di fronte all’evidenza dei fatti storici diviene logica ed ineludibile la conclusione che Stato e mafia non sono affatto poteri distinti ed antagonisti, ma costituiscono invece un duopolio inscindibile di potere ed interessi economici, che trova fisiologica espressione non nello scontro frontale, bensì nella negoziazione e nell’appoggio reciproco.

Del resto fu proprio per essersi rifiutato di piegarsi alla “trattativa” con Cosa Nostra (intavolata dalle istituzioni subito dopo il tuo attentato) che venne infine eliminato anche Paolo Borsellino, il quale con la sua integrità rappresentava un fastidioso ostacolo a quelle liaisons dangereuses.

È una triste ma irrefutabile verità, che tra lo Stato italiano e la mafia sono esistiti dei gravi rapporti collusivi, in virtù dei quali vi erano politici italiani che intrattenevano amichevoli rapporti con Cosa Nostra, e rappresentanti di quest’ultima che d’altro canto avevano sicuri referenti nelle istituzioni italiane, che ne curavano gli interessi e li tenevano al riparo da reazioni repressive dello Stato che potessero veramente danneggiarli.

L’esistenza del cosiddetto “terzo livello” della gerarchia mafiosa, ossia quello istituzionale, per dimostrare l’esistenza del quale tu e gli altri martiri deste la vita, appare oggi come una verità inconfutabile.

Non fu affatto guerra, né conflitto tra Stato e mafia, bensì una crociata solitaria, una tragica e solitaria guerra condotta da pochi uomini valorosi che non tolleravano di prendere ordini da nessuno, se non dal principio di legalità e di indipendenza della magistratura.

Di conseguenza appare ormai chiaro che la sconvolgente tesi dei “mandanti occulti” delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in base alla quale l’ordine di morte per te e Paolo sarebbe partito non da Cosa Nostra ma da più su, dai disegni di qualche “mente raffinatissima”, è più che una semplice ipotesi.

Tu avevi già capito tutto, e anche Paolo, che nei giorni prima di morire ripeteva ai familiari e agli amici “È arrivato a Palermo il tritolo per me. E può anche darsi che a farmi saltare in aria sia la mafia, ma alla fine chi avrà ordinato la mia morte saranno altri.”

Ma ci sono cose che non si possono dire, e questa è una di quelle. Verrebbe da dimenticarsela proprio, perché a pensarla c’è da impazzire, oppure emigrare a ventimila chilometri da qui, lontano da questa palude marcia di corruzione, faide e disonestà che è diventata l’Italia. Oppure prenderne atto, continuare ad impegnarsi per diventare un magistrato sbagliato e provare a muovere guerra, un giorno, a questa orrida distopia.

Non è semplice, di certo, ma lo è un po’ di più quando lo si può fare stando sulle spalle di maestri come te, Paolo, Rocco e tutti quelli che sono venuti prima di noi, a dare il loro contributo.

In questo triste giorno che commemora la tua fine, ripensando a te e a tutto ciò che hai fatto per questo paese che non ti meritava, ci viene in mente la frase che pronunciasti quando già avevi capito di avere i giorni contati, e sapevi che presto ti avrebbero eliminato:

Possono uccidere gli uomini, ma non possono uccidere le nostre idee: quelle sopravvivranno sempre, e continueranno a vivere e a camminare sulle gambe di chi verrà dopo di noi.”

E ancora una volta avevi ragione. Forse, paradossalmente, è stata proprio la mafia a renderti giustizia uccidendoti.

Grazie Giovanni per quello che hai fatto per tutti noi. Prestare alle tue idee le nostre gambe, ora, per farle camminare ancora a lungo e portarle lontano, è il minimo che possiamo fare.

La Redazione del Circolo Culturale della Strada Persa
www.stradapersa.blogspot.com




IERI SUCCEDEVA QUESTO...

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OGGI NON E' CAMBIATO NULLA





MA NOI NON DIMENTICHIAMO..

NE' SIAMO DISPOSTI A PIEGARCI..



Saluti a tutti
Fabrizio Frosini